Ho conosciuto mio padre quando la sua vita era già in là con gli anni, ed era stata una vita piena di esperienze terribili, sofferenze così insopportabili per lui da esserne costantemente tormentato e da avere il bisogno di raccontarle continuamente. Le raccontava ad alta voce, ruggendo di rabbia per i dolori che aveva visto soffrire alle persone attorno a lui nella giovinezza vissuta durante la guerra.
Spesso un evento traumatico segna tutta un’esistenza, ma la sua, come quella di tantissime altre persone di quegli anni, era un’esistenza completamente ricoperta di cicatrici dolorose.
Quando ero bambina, all’inizio degli anni Settanta, ho assistito al suo sforzo titanico per sollevarsi al di sopra di tutta questa sofferenza, e ambiva alla fantastica voglia di vivere che si incontra facilmente in tutti i bambini.
Voleva arrivarci anche lui, proprio lì, nel cuore di tutti i bambini del mondo, per costruirci dentro la sua casa traboccante di allegria e non lasciarla mai più.
E ben presto ci è arrivato, era l’ultimo tratto di un percorso di ricerca interiore, a cui ho assistito negli anni della mia infanzia. Io ero la sua quarta figlia e ho potuto vivere il raggiungimento del suo sogno impossibile.
Da allora ogni tanto nel corso della giornata ruggiva ancora di sdegno per la disumanità della guerra, però per il resto era allegro… come uno di noi, proprio come noi bambini, e stare con lui era una continua esplosione di invenzioni, soprattutto di storie, questa volta belle e felici come il suo auditorio di bambini.
Susanna Carpi